Dato che è da poco online la nostra recensione di “Khymeia”, ne approfittiamo per fare una lunga e ‘sentita’ chiacchierata con Anna degli EMIAN PAGANFOLK. Buona lettura!

Ciao Anna, è passato un bel po’ di tempo dalla nostra precedente intervista… quindi potremmo iniziare con un resoconto delle vostre attività negli ultimi quattro anni!

Da dove iniziare? Sono successe tante cose… La più importante è sicuramente quella di essere diventati parte del panorama paganfolk europeo da quando abbiamo avuto la possibilità di aprire il concerto degli Omnia all’Yggdrasil Festival di Treviso nel 2016.

Rispetto a quando uscì “Acquaterra”, come vi sentite? Come sono gli Emian del 2019 rispetto a quelli del 2014?

Secondo me gli stessi. Forse più maturi per quanto riguarda l’organizzazione fuori e sul palco. Abbiamo aggiunto nuovi strumenti al set; comprato un piccolo van tutto nostro per spostarci in autonomia sia in Italia che in Europa durante i tours; collaborato con molti artisti, sia nell’ambito teatrale/cinematografico che musicale; partecipato a molti festival del panorama celtico/pagano… Più consapevoli dei nostri obiettivi e delle nostre potenzialità.

Parliamo adesso specificamente del nuovo disco: “Khymeia” è la vostra dimostrazione chimica dei passaggi segreti fra le varie tradizioni folk… o sto fraintendendo il messaggio?

Non stai fraintendendo, hai colto in pieno! È esattamente ciò che volevamo fare attraverso quest’album. Volevamo dimostrare, in un certo senso, che le diverse culture musicali hanno qualcosa in comune tra loro e che allo stesso tempo possono scambiarsi codici e linguaggi senza perdere la propria identità regionale/etnica. Anzi! Il più delle volte si fondono tra loro creandone di nuove. I popoli hanno sempre viaggiato e dato vita a nuove forme di linguaggio musicale attraverso lo scambio. Alcuni esempi che noi portiamo nel disco: il brano “Rebys” che si rifà alla cultura sefardita per tipologia di lingua, narrazione e melodia; oppure il brano “Owen’s boat” dove abbiamo fuso insieme una filastrocca tradizionale dall’Irlanda, in lingua gaelica, ed un brano della tradizione Danese che praticamente hanno la stessa linea melodica! Per noi “Khymeia” è stato un po’ un laboratorio alchemico, un atanor in cui abbiamo sperimentato e trovato nuove forme di linguaggio musicale, facendole diventare nostre.

Di molti brani vorrei chiedervi maggiori informazioni, ma proverò a limitarmi… cominciamo con qualche ragguaglio su un pezzo tradizionale, “Auciello Grifone”, e su una vostra creazione, “Mephite”, che fino a quando non ho letto il contrario sul vostro booklet ho considerato un brano dell’antico repertorio popolare… in entrambi i casi, se non vado errato, stiamo parlando di miti e leggende del sud Italia…

“Auciello Grifone” è un brano tradizionale campano. L’origine è in bilico tra Cilento ed Irpinia, io l’ho imparata a Napoli. Èuna ninna nanna struggente e racchiude in sé il sunto della storia di un re cieco che chiede ai suoi 3 figli di portargli la piuma magica di un grifone grazie alla quale, se strofinata sugli occhi, egli potrà guarire la propria cecità. Al figlio che gliela procurerà, promette trono, regno e tutto il suo amore di padre. È all’inizio della ricerca che scatta l’invidia tra fratelli, argomento ripreso anche da un’altra canzone presente nell’album, quella a cui questa ninna nanna apre la strada… Il fratello minore avrà la peggio, perché sarà lui a trovare per primo la piuma. Verrà ucciso e seppellito in un bosco dai fratelli maggiori che gli ruberanno la piuma per portarla al re. Un giorno lontano un pastore troverà il corpo del giovane e con le ossa costruirà un flauto magico che, suonando, racconterà a tutti la sua triste storia… storia che giungerà fino alle orecchie del re.

Al contrario “Mephite” è una sorta di invocazione, un canto dedicato ad un’antica dea venerata in Irpinia dal popolo degli Irpini, culto che ritroviamo in tutta l’Italia Osco-Sabellica. Ad ispirare questo brano, scritto da me (testo) e da Emilio (musica), è stato un luogo che si trova nei pressi di Rocca San Felice (Av). Lì è situata la Valle d’Ansanto ed un famoso lago sulfureo chiamato appunto Mefite (parola di origine osca che significa “colei che fuma/colei che sta nel mezzo”). Nell’area tutt’intorno al lago, gli archeologi hanno ritrovato numerosi ex voto, statuine ed effigi della dea sia in terracotta che in legno e oro, risalenti appunto al periodo osco-sabellico. Hanno ipotizzato l’erezione di un antico tempio, dedicato alla dea, sulla collina che ancora sovrasta il lago. E noi, venendo a conoscenza della storia, abbiamo ipotizzato una melodia che le sacerdotesse intonavano mentre si recavano al tempio per i sacrifici, un canto che inneggiasse a questa antica madre ma che allo stesso tempo emanasse timore e riguardo per questa antica divinità. Abbiamo immaginato questo brano come una tipica “tammurriata campana” essendo questa una tipologia di canto e danza arrivata a noi, sin dai tempi più remoti e tramandata da generazione in generazione, quasi intatta ed inalterata.

Torno allora su una domanda che più o meno già vi feci nel 2014… e ti chiedo se il vostro rapporto con la tradizione folklorica delle vostre zone di origine si è evoluto, approfondito o configurato in modo diverso rispetto ad allora.

Sì, grazie anche alla ricerca fatta per dare vita a “Khymeia” si è evoluto. In realtà ci è sempre stata la volontà di voler portare un po’ della nostra tradizione nella nostra musica ma talvolta, vuoi per questioni di spazio (un cd è troppo piccolo per contenere tutto) e vuoi per questioni di step produttivi (non usare tutto il materiale per un solo cd ma conservarlo anche per quello successivo), non abbiamo potuto o voluto. Dall’altro lato c’è anche il fatto che quando ci si avvicina alla musica tradizionale del Sud Italia, si corre il rischio di fare esattamente come hanno già fatto altri, ovvero riproporre la tradizione uguale a sé stessa senza mai darle un nuovo aspetto, sia strumentale sia ritmico/melodico.

Il nostro “nuovo” rapporto con la musica e le storie della tradizione, è pienamente espresso in uno dei nuovi brani che per ora stiamo presentando solo durante i live, ma che sarà nel prossimo disco, e che è tratto da una leggenda ispirata a un luogo dell’Irpinia situato a San Michele di Pratola (Av). Il luogo, che dà il titolo al brano, è “La casa dell’Orco”.

Con questo nuovo approccio, stiamo rivalutando l’idea che non bisogna sottovalutare il territorio da cui si proviene per trovare storie e leggende interessanti.

La storia delle ‘Due Sorelle’ è di rara tristezza! Come è stato appropriarsi di questo canto che – correggimi sempre se sbaglio – appartiene alla tradizione inglese?

“Le due sorelle”, ribattezzata così da noi, come tu ben dici la si può trovare con il titolo “Twa Sisters” o “The two sisters” o “Cruel Sister” nella tradizione inglese, più precisamente della Nortumbria (il brano è stato anche ripreso dalla band Pentagles); con il titolo “Harpa” o “Harpa toner” nella tradizione Scandinava. Solo in Svezia ne esistono 125 varianti! Ad ogni modo è una leggenda che si ritrova un po’ in tutta l’Europa. Ne esiste una versione in Ungheria che narra di un Re che ha 3 figlie. Le prime due, brutte e cattive, invidiose della bellezza della sorella minore, la uccidono in un bosco e con il suo cadavere costruiscono un violino magico che suonerà da solo e che racconterà la propria storia al re. Non ci siamo “appropriati” di questo brano, semplicemente ce lo siamo ritrovati anche nella nostra tradizione musicale (vedesi la tematica dell’“Auciello Grifone”) e nelle nostre leggende (vedesi tutte le località di mare del Sud Italia che hanno scogli gemelli chiamati o “le due sorelle” o “i due fratelli”) e lo abbiamo reso accessibile a chi ci segue traducendolo in italiano.

Ha senso, in una scaletta di questo tenore, un brano finlandese come “Kuulin Äänen”? Cioè, lo so che ha senso… ma vorrei sentire la vostra risposta!

Nel percorso e processo alchemico di Khymeia, “Kuulin Äänen” nella posizione in cui si trova ha senso. Segue proprio “Le due sorelle”, dove il tema della morte, della gelosia, dell’invidia e della rinascita sotto altra forma (l’arpa di ossa), viene espresso in tutta la sua struggente e disarmante bellezza. A chiudere questo brano, c’è una breve ninna nanna Finlandese che recita “Nukku nukku nurmilintu…” (“Dormi dormi mio piccolo uccellino…”) e che chiude con toni molto dark tutta la vicenda, quasi come se in un ultimo e disperato atto di follia, la sorella cattiva cantasse la ninna nanna alla sorella minore, mentre la guarda annegare. “Kuulin Äänen” (tradotto “Ho sentito una voce”) al contrario è la canzone dell’amore erotico, in cui si celebra la vittoria dell’amore, come atto creativo e selvatico, e la Vita!

So che la vostra attività live prosegue costante… ci sono state esperienze all’estero di recente? O concerti che vi piacerebbe in generale menzionare e ricordare?

Siamo rientrati questo dicembre da due festival olandesi: Il CastleFest Winter Edition ed il Mid Winter Fair Archeon.

Del primo festival ne fanno una versione anche estiva e vi abbiamo preso parte già per due edizioni, mentre per quella invernale era la prima volta. Nella versione estiva, più estesa per numero di palchi ed aree interessate all’interno di un grande parco verde con al centro un castello (da questo prende il nome il festival), abbiamo avuto una delle esperienze più belle del nostro percorso sia musicale che umano. Per 3/4 giorni, è come entrare a far parte di un mondo fantastico dal quale è difficile uscire… Vieni catapultato tra personaggi fantastici e cosplayers, tutti hanno un costume, dai 0 ai 100 anni! Non ci sono persone a giudicare, non c’è imbarazzo nel danzare, non c’è limite alla fantasia né tantomeno alla voglia di condivisione di spazi ed esperienze emozionali. Ci sono stage di strumenti musicali e di danze, combattimenti larp, sfilate di carri particolari e il rituale del wickerman! Abbiamo avuto l’onore di suonare sullo stesso palco di Omnia, Faun, Wardruna, Eivor, Heilung, Heidevolk, Corvus Corax, Sidh… È un’esperienza che più che raccontare è da fare. Ora, immagina tutto questo in una versione minimal ed ecco CastleFest Winter Edition. Ci sono solo due palchi, uno esterno ed uno interno in una tensostruttura riscaldata, noi abbiamo suonato su entrambi. Quello che ci ha colpiti è stata l’aria di familiarità e intimità che si respirava nel tendone durante il nostro concerto. È sicuramente un ricordo che porteremo per sempre con noi. Mentre dell’esperienza sul palco esterno… beh, di sicuro io ricorderò per sempre il freddo! Ah, e il ricordo che il pubblico ha cantato “Hyria” con me, in italiano!

Mid Winter Fair Archeon: ora, immagina di avere una macchina del tempo e di poter visitare, in quest’ordine, preistoria, era vichinga, epoca romana e medioevo olandese, tutte nello stesso luogo e spazio. Ecco che compare davanti a te questo mega parco in cui sperimentazione e archeologia si fondono per dare un’esperienza unica al visitatore!

Sono stati 3 giorni assurdi! Abbiamo vissuto in una tipica casa medievale olandese, suonato in una caupona romana e in un antico monastero medievale, assistito a un rituale vichingo con tanto di accensione di nave nel fiume, guardato un cavaliere completo di armatura proclamare un bando all’interno del villaggio medievale… Tutto è ricostituito nei minimi particolari, grazie all’impegno di studiosi, archeologi, artigiani ed appassionati, per dare al visitatore l’idea piena e viva di quello che erano le varie epoche nel passato. Anche questa è un’esperienza da fare che non si può solo raccontare.

Impossibile mettere tutto per iscritto qui!

D’obbligo è anche la domanda sulle prossime attività della band… come è iniziato il ’19 e che cosa porterà in casa Emian?

Intanto abbiamo iniziato il 2019 celebrando il 7°anno di esistenza della band che è già un bel traguardo. Prossimi obiettivi: disco nuovo, sicuramente; raccolta di nuovo materiale per nuovi brani; nuovi videoclip; nuovi live; nuovi festival… Vediamo dove ci porterà questo 2019.

La fine dell’intervista spetta naturalmente a voi. Grazie per aver ancora una volta condiviso il vostro tempo con Metalhead.it e i suoi lettori!

Grazie a te e grazie Metalhead!

(Renato de Filippis)