Persa per mesi nelle maglie della posta elettronica, riemerge fortunosamente una nostra intervista con i Wotan, pensata per pubblicizzare il loro nuovo disco “The Song of the Nibelungs“. Convinti che il motto ‘meglio tardi che mai’, in casi come questi, sia più che valido, proponiamo allora i risultati della nostra chiacchierata con Vanni Ceni: si parla di Wagner, dei cambi di line-up, dell’underground… e naturalmente dei Nibelunghi! Buona lettura!

Bentrovati, Vanni! Allora: mi dite perché ci è voluto così tanto (ben 12 anni!!!) per vedere la vostra versione di “The Song of the Nibelungs”?

Grazie Renato! Per prima cosa un saluto ai lettori di MetalHead… sì, in effetti la realizzazione di questo cd ha richiesto tempi biblici! Inizialmente i brani avrebbero dovuto essere i canonici nove-dieci, ma poi con il tempo ci siamo accorti che per meglio rappresentare un “mattonazzo” come il Nibelungenlied sarebbero stati necessari altri brani per descrivere gli episodi e i personaggi salienti del poema, e poi l’ispirazione fluiva con facilità e ne abbiamo approfittato; in più i vari cambi di batterista ci hanno sottratto una quantità esagerata di tempo.

Non so se ha giocato un ruolo anche il recente cambio di formazione… ci presentate il nuovo batterista?

Sì, possiamo dire che la causa principale del dilungarsi della realizzazione sia stata principalmente il succedersi dei numerosi batteristi che abbiamo cambiato negli ultimi anni. Purtroppo a causa di questo abbiamo dovuto ripetere completamente le registrazioni di batteria per ben 3 volte. Del nuovo batterista, Gabriele Stoppa, ti posso dire che è un musicista con alle spalle una scuola di tutto rispetto nonché un artista a tutto tondo, infatti oltre ai Wotan ha numerosi altri progetti che riguardano la musica ma anche il cinema e il teatro… poi come persona ti posso dire che non è “normale”, come del resto nessuno di noi lo è!

Quanto vi siete documentati, dal punto di vista storico-letterario, per la realizzazione del disco? E dal punto di vista musicale: Wagner vi ha aiutato a ricreare le atmosfere del vostro epic metal?

Ebbene, mi sono letto il poema epico cavalleresco sia in inglese che italiano per almeno un paio di volte nel corso degli anni, e naturalmente per un appassionato di Wagner come me non sarebbe stato possibile non trarre ispirazione dalle sue opere.

“La Chanson de Roland” da “Epos” forse è stata una prova generale di questo disco… mi sbaglio? Anche se lì si trattava ‘soltanto’ di 15 minuti di epica cavalleresca…

Sì, in effetti c’è un fil rouge che unisce questo album a quella canzone che ha lo stesso pathos e più o meno lo stesso stile.

Scegliere fra la gigantesca mole di brani è molto difficile… ma vi chiederei qualche informazione in più su quelli che mi hanno colpito maggiormente: ‘Balmung’ e ‘In the Land of the Nibelungs’.

“Balmung” è una delle mie preferite, è il nome della magica spada di Siegfried forgiata dai nani. Per i cavalieri medievali la spada era l’essenza della loro condizione, ciò che li distingueva ancor più del cavallo. Avevano l’abitudine di darle un nome come se fosse una creatura viva, ne avevano una cura maniacale e qualche volta, come nel caso di Roland, le parlavano. Per questo abbiamo voluto creare un brano che rievocasse un po’ questo sentimento. “In The Land Of Nibelungs”, invece, essendo il brano di apertura doveva essere qualcosa che evocasse lo spirito del viaggio iniziatico in una terra sconosciuta.

Ancora sulla lunghezza (per chi scrive, assolutamente positiva!) della vostra opera: come mai così tanti brani? E… è rimasto qualcosa addirittura fuori dal disco?

Abbiamo ritenuto che per rappresentare in maniera sufficiente la storia narrata dal poema fosse necessario un numero di brani superiore allo standard, non sono rimasti fuori altri pezzi, diciamo che per non esagerare abbiamo cercato di contenere l’opera in un certo numero di brani, numerosi ma che non arrivassero a tediare chi ascolta. Purtroppo non siamo dei novelli Wagner che possono permettersi un’opera di 5 ore!!

Come mai avete scelto una etichetta assolutamente esordiente come la Rafchild Records per la vostra opera? Il rapporto con le altre vostre recenti label (Eat Metal, Alone Records, My Graveyard Productions eccetera) non è stato così soddisfacente da spingervi a rivolgervi nuovamente a loro?

In realtà saremo sempre grati a queste etichette che ci hanno dato fiducia e permesso di pubblicare i nostri primi lavori. Ora però ci ha molto colpito l’entusiasmo di Raphael [Päbst, ndr], il patron della Rafchild, che è pieno di idee e progetti nuovi, e pensiamo che ci permetta anche di essere un po’ più attivi sulla scena metal tedesca.

Curiosità: chi è l’ospite femminile alle opera vocals di alcuni brani?

Si chiama Claire Briant Nesti, è una cantante lirica toscana molto brava ma è stata anche la frontwoman di un paio di metal band, gli Inside Mankind per esempio. La sua prestazione è un capolavoro che dà un vero tocco Wagneriano all’album, ha una voce pazzesca, degli acuti da rompere i cristalli! È riuscita a dare l’interpretazione che volevo subito al primo colpo, credo che impreziosisca notevolmente l’opera.

Seconda curiosità: perché “Bridge to Asgard” è uscito due volte (la seconda, come tutti sanno, come “Return to Asgard”)? Magari è una storia che raccontate sempre, ma nel caso io non la conosco…

All’epoca volevamo spezzare l’attesa per il nuovo album pubblicando qualche brano, cosi per rendere più consistente il cd abbiamo pensato di unire 3 brani nuovi ad alcuni dei vecchi e reintitolare il cd per distinguere la nuova versione. Purtroppo gli eventi sono precipitati e l’intervallo di tempo tra un cd e l’altro è cresciuto esponenzialmente!

I Wotan esistono ormai da 30 anni, forse qualcosina di più: se vi guardate alle spalle, che cosa vedete? Come giudicate la vostra carriera e le vostre produzioni musicali?

Io personalmente non sono molto soddisfatto, avrei voluto fare qualcosa di più in termini artistici, ho un mare di idee che mi ribollono in testa ma purtroppo la dimensione underground in cui ci muoviamo, se pur affascinante, non ci permette di fare le cose un po’ più in grande.

Una delle particolarità dei Wotan è che… è difficilissimo vederli dal vivo!!! Ci saranno dei concerti di supporto a “Nibelungs”, se non magari addirittura un piccolo tour?

Sì, dopo un certo periodo in cui suonavamo ovunque abbiamo deciso di selezionare le situazioni, preferiamo fare pochi concerti ma in contesti un po’ più gratificanti del piccolo club o pub. Purtroppo in Italia gli interessi si stanno spostando altrove rispetto alla musica e diventa sempre più difficile suonare in situazioni all’altezza, mi dispiace dirlo ma in questo paese la musica e il metal in particolare stanno diventando sempre più marginali, di nicchia. Vado spesso all’estero e vedo una differenza enorme con gli altri paesi, basti pensare fermento che c’è in Grecia o in Spagna senza dover citare ovviamente la Germania.

La fine dell’intervista spetta come da prassi alla band. Grazie per il vostro tempo, e a presto!

Grazie a te Renato per questa piacevolissima intervista. Un saluto a tutti i lettori di MetalHead da me e dal resto della band. Stay metal, stay True!!!

(Renato de Filippis)