(Nordvis Produktion) Lassù, tra i verdi boschi svedesi, disperso nel nulla e stimolato dalla potenza della natura, l’instancabile Nachtzeit non riposa mai. Tra i vari progetti che segue, compreso quello che porta il suo nome, il più attivo è sicuramente quel mostro di black ambientale chiamato Lustre, il quale giunge con magistrale armonia e crudele naturale essenza al settimo sigillo. Un settimo sigillo che fa un passo avanti! “Ashes of Light” prende la violenza magica di “Wonder” (recensione qui), la luminosità di “Blossom” (recensione qui), la somma delle due direzioni stilistiche di “Still Innocence” (recensione qui) e porta avanti il percorso, regalando un album più aggressivo, ma sempre estremamente suggestivo, ricco di sensazioni, di luci brillanti ed ombre soffocanti. “Part 1 (Eyes Like Stars)” è subito epica, fantasy, delicata, opacamente sfavillante; ma quella luce, quella speranza, quella natura apparentemente invitante diventa crudele con le occasionali vocals pesanti e strazianti, imparentate con un avvilente DSBM. Un misterioso sapore dungeon synth emerge nell’incantevole “Part 2 (A Silent Tale)”, per poi diventare pura magia, totale trance con la poderosa “Part 3 (Like Music In The Night)”: synth che porta ad uno stato mentale alternativo, mentre una pioggia siderale sferza un’oscurità avvolta dal profumo seducente di boschi, montagne e scenari lontani dall’uomo, dalla civiltà. La voce è un cratere che si apre all’improvviso risucchiando ogni cosa, le progressioni melodiche hanno una visione teatrale, ricca di atti, compreso quello nuovamente dungeon synth, quello fantascientifico, fino ad una divagazione meravigliosamente barocca. Lenta, decadente, intima e malinconica “Part 4 (The Empty Black)”. Sognante e dispersa tra remote galassie “Part 5 (The Ashes of Light)”: ci sono momenti drammatici, angoli inospitali poi addolciti da un synth superlativo, fino ad un’esaltazione scandita da un drumming marziale con la voce che esce dalla sua dimensione eterea per diventare più carnale, più organica, prima di abbandonarsi al freddo siderale e scomparire nel nulla. L’album chiude con un etereo epilogo, “Part 6 (Lamentation at Dawn)”, quasi un contrasto tra dolcezza e oscurità, un finale che riporta alle origini, al grembo materno, all’inizio di tutto. All’alba di un nuovo giorno. Pattern di tastiera infiniti, scanditi da ritmiche spesso lineari ma a tratti sorprendentemente accentate. Voce che non è più solo un’evanescente ed incorporea devastazione proveniente da un’altra dimensione, ma che riesce ad emergere, appesantirsi, variando di timbro e catturando con maggiore veemenza. Ipnotico ma graffiante. Cosmico ma indissolubilmente legato alla natura nella sua essenza più selvaggia e pura.

(Luca Zakk) Voto: 9,5/10